sabato 30 aprile 2011

Yagna, un potente mezzo di purificazione



Lo Yagna è uno strumento molto potente di aiuto per l'umanità per il raggiungimento della Divinità dentro di sé tramite la purificazione di se stessi dal karma accumulato. Letteralmente karma significa proprio "azione" o "atto". Karma è il termine dato alle leggi universali di causa ed effetto che influenzano la dimensione fisica e la dimensione non fisica. Fatti o azioni compiuti possono continuare ad influenzare le persone per vite intere, influenzandole fisicamente, mentalmente ed emozionalmente, sia che l’azione sia stata positiva sia che sia stata negativa. Alcuni atti aiutano a ridurre o eliminare l’influenza di questi azioni compiute nel passato. Lo Yagna aiuta a ridurre o a compensare gli effetti di determinati atti compiuti nella propria vita.
Le persone che hanno un forte legame, o una forte devozione (Bhakti) per la Divinità che viene invocata possono percepire o addirittura vedere la presenza di questa divinità durante il rituale. La forma che il Divino assume non è importante: è l'atto del sacrificio in sé che è importante. Così lo Yagna diventa un potente mezzo di trasformazione. Più si è saldi nella devozione per il Divino, più si è capaci di sacrificarsi a quella forma del Divino, e maggiore sarà la grazia elargita dalla
Divinità nel sostenere la trasformazione dell'umano in Divino. Più il legame con la Divinità è forte e profondo, più è grande la capacità di offrire se stessi al Divino, e più le persone che partecipano allo Yagna sperimenteranno nella loro vita felicità, accettazione, pace e gioia.

venerdì 29 aprile 2011

Ritornare in armonia con il Divino (Yagna)


Il termine “Yagna” ha molteplici significati. Principalmente yagna significa sacrificarsi disinteressatamente per nobili propositi. Ogniqualvolta una persona compie un atto con spirito di sacrificio, sta compiendo uno yagna. Potrebbe essere, ad esempio, una madre che sacrifica i propri bisogni per quelli del proprio bambino. In secondo luogo, yagna significa adorare, venerare il Divino /Dio. Può essere un atto sacrificale, propiziatorio che si compie per venerare il Divino e può essere un rituale esterno come un rituale interno, cioè compiuto dentro il proprio essere. In terzo luogo, yagna è il nome dato a una cerimonia del fuoco durante la quale si offrono doni in sacrificio al fuoco sacro, dove il fuoco diventa un aspetto di Dio. Molte cerimonie del fuoco (yagna) si svolgono in compagnia di più persone. Gli scopi dello yagna sono molteplici ma in sostanza sono intesi ad offrire beneficio alle persone partecipanti, all'ambiente circostante e al mondo intero.

Lo scopo principale dello Yagna è quello di ricondurre le persone che partecipano alla cerimonia in armonia con il Divino, di ricondurre la persona dalla percezione di semplice essere umano alla consapevolezza della Coscienza Divina - alla conoscenza di se stessi come Atman (Sè Divino).

Per raggiungere e stabilirsi nell’Atma bisogna essere disposti a lasciar andare gli attaccamenti agli aspetti dell'ego quali la vanità, la superbia, l’invidia, l’ira, ecc. Lo Yagna è sempre dedicato a una Divinità che viene invocata in modo che ella diventi il fuoco stesso. Dopodichè tutti i doni verranno offerti al fuoco e quindi alla Divinità. La cerimonia dello Yagna è l'esternalizzazione di ciò che avviene all'interno dell’essere umano, dove gli aspetti grossolani dell’ego (karma) vengono bruciati nel fuoco della devozione al Divino. Questo aiuta a sacrificare alla Volontà Divina quegli aspetti di noi stessi che non sono più necessari nella nostra vita. Alla fine l'unica cosa che rimane è l’abbandono completo della coscienza umana al Divino.

giovedì 28 aprile 2011

Amicizia con Dio (Satsang)



L’Amicizia con Dio è la forma più alta e ultima di satsang. Può essere praticata a vari livelli: fisico, mentale e spirituale. Fisicamente adorando una Sua immagine o statua; mentalmente cantando il uo nome o cantando la Sua gloria, e spiritualmente meditando sulla Sua forma o sulle Sue qualità. Può essere praticata relazionandosi direttamente a Dio o attraverso un Guru, riconoscendolo come l'incarnazione di Dio. Nel Mahabhagavatam il Signore Mahavishnu spiega al suo devoto Prahlada otto forme di adorazione di Dio.

Queste sono:
1. Shravanam: ascoltare le opere e la grandezza di Dio.
2. Kirtanam : cantare o recitare i nomi e la grandezza di Dio.
3. Smaranam: ricordare i nomi e la grandezza di Dio.
4. Pada-sevanam: servizio ai Suoi piedi.
5. Archanam: rituali di adorazione della forma o dell'immagine di Dio.
6. Vandanam: rendere omaggio a Dio, unendo le mani o prostrandosi davanti a Lui.
7. Dasyam: agire come servo di Dio.
8. Sakhyam: agire come amico di Dio
9. Atma-nivedanam: arrendersi, affidarsi completamente a Dio.

L'amicizia con Dio richiede l’avvicinarsi al Divino con tutto il cuore e con fede incrollabile. La rinuncia è un atto di sacrificio nel quale tutte le idee di attaccamento sono accantonate per dare spazio alla ricerca della verità. La Devozione è una dichiarazione d'amore, e la rinuncia è la più alta forma di devozione, in cui ci si lascia alle spalle tutto e ci si affida completamente a Dio, nella fiducia che Egli si prenderà cura di noi in tutto e per tutto. Il vero satsang è la realizzazione di Sé o l'unione del Sé individuale con il Sé più alto.

mercoledì 27 aprile 2011

Amicizia Universale (Satsang)


L'ultima forma di amicizia spirituale è l'amicizia con tutto il creato, senza alcun obiettivo o interesse particolare. E' un'espressione del proprio amore e ammirazione per Dio e la sua intera manifestazione. Essa si esprime come amore incondizionato, compassione e fratellanza universale. Si tratta di un riconoscimento della onnipresenza e dell’onniscienza di Dio, un segno della propria resa a Dio. Questa idea ha raggiunto il suo culmine nel buddhismo con l'idea di Kalyana Mitrata (amicizia di buon auspicio) e si riflette anche negli insegnamenti di Cristo, quando Egli esorta i suoi seguaci ad amare i propri nemici.

martedì 26 aprile 2011

La Saggezza dell'Amore - Mahavatar Babaji



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domenica 24 aprile 2011

L’INCONTRO CON IL RISORTO



tratto da “Donne della risurrezione” Lia Beltrami

Dopo il sabato, all’alba del primo giorno della settimana, Maria di Magdala e l’altra Maria andarono a visitare la tomba. Ed ecco, vi fu un gran terremoto. Un angelo del Signore, sceso dal cielo, si avvicinò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa. Il suo aspetto era come folgore e il suo vestito bianco come la neve. L’angelo disse alle donne: “Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù il crocifisso. Non è qui. È risorto, infatti, come aveva detto; venite, guardate il luogo dove era stato deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: “È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete” Ecco, io ve l’ho detto.”
Abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annunciò ai suoi discepoli. (Matteo 28,1- 8)


Risorto al mattino, il primo giorno dopo il sabato, Gesù apparve prima a Maria di Magdala, dalla quale aveva scacciato sette demoni (Marco 16,9)
Il primo giorno della settimana, Maria di Magdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: “Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove lo hanno posto!” Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro.
Maria invece stava all’esterno, vicino al sepolcro e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: “Donna, perché piangi?” Rispose loro: “Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto”. Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù. Le disse Gesù: “ Donna perché piangi? Chi cerchi?” Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: “Signore, se lo hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo.” Gesù le disse: “Maria!” Ella si voltò e gli disse in ebraico: “Rabbunì!” – che significa “Maestro!” (Giovanni 20,1-3.11-16)


“Maria stava all’esterno, vicino al sepolcro e piangeva”
Ha visto il sepolcro vuoto, è tornata in città a chiamare gli amici di Gesù, e non capisce. Guarda con occhi umani un evento così grande che non può essere contenuto né dall’intelletto né dal sentimento. Di fronte all’inatteso, capita di prendere le distanze, è un modo per evitare di lasciarsi sorprendere. Ma con il Signore non si può stare sulla soglia e piangere su se stessi, sul proprio dolore. Il tempo del pianto è limitato. Arriva il momento dell’incontro, che richiede una decisone chiara, forte, di mettersi in gioco. Gesù si offre a noi come pastore, non è un’imposizione, ma un gesto di tenerezza. A noi la scelta di far parte del suo gregge, di entrare nel suo recinto.

Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: “Donna, perché piangi?” Rispose loro: “ Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto”
L’entrata del sepolcro è piuttosto bassa. Proprio qui, il venerdì del dramma, Maria Maddalena ha sentito un tonfo sordo della pietra che la chiudeva. È l’alba del giorno dopo il sabato. Lei è lì, attonita, sconvolta, i suoi occhi sono ancora accecati dal pianto, dal dolore. Decide comunque di provare a guardaci dentro, si china, vede due angeli. Ma visione celeste però non è sufficiente per portarla a credere, servirà l’incontro con la persona del Cristo.


“Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. Le disse Gesù: “Donna perché piangi? Chi cerchi?” Quella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse:
“Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo”
Maria Maddalena è rivolta verso il sepolcro, dove ha appena visto due angeli in bianche vesti, alle sue spalle c’è il giardino. È sorpresa, non capisce, “hanno portato via il Signore dal sepolcro”. Di lì a poco saprà che il Signore non può essere trattenuto. Non aspetta neppure la risposta degli angeli. Forse sente un rumore, si accorge che c’è qualcuno dietro di lei. Si volta e vede un uomo, che non riconosce. La sua vista è abbagliata dalla luce degli angeli, o è confusa dal troppo pianto oppure l’uomo che sta dietro alle sua spalle è irriconoscibile perché trasfigurato. Non viene detto. Il Maestro ripete la stessa domanda degli angeli “Donna perché piangi?” e aggiunge “Chi cerchi?” Perché Maddalena ti lasci logorare dal dolore? Che “Signore” cerchi, quello che immagini tu? O quello che è realmente? Lei continua a non capire, pensa che l’uomo sia il custode del giardino. Non basta la provocazione di Gesù per toglierla dalle sue convinzioni. Qualcuno ha portato via il Signore e basta. È ancora il coraggio a sostenerla, è disposta ad andare a prendere il corpo: una donna, come pensa di farcela a spostarlo? Vede il Risorto con occhi umani, perciò non lo riconosce, ma al Signore piace senz’altro la sua determinazione, la sua volontà, seppure fragile e non ancora piena dello Spirito.
(…)
È l’ultima volta che Maria prova a fare da sola, chiede dov’è il corpo del suo Signore, lo vuole andare a prendere, non si è ancora abbandonata. È forse l’ostacolo più grande che possiamo trovare nel cammino spirituale, l’impedimento a lasciarci andare all’abbraccio del Padre. L’affidamento totale. (…)
“Gesù le disse: Maria! Ella si voltò e gli disse in ebraico: “Rabbunì!” Che significa “Maestro!” Il buon Pastore chiama la sua pecorella per nome. Le restituisce il suo nome trasfigurato. E lei, che nel frattempo gli aveva voltato le spalle, si gira una seconda volta, definitivamente, ode la sua voce e nel suo nome lo riconosce. D’ora in poi non distoglierà più lo sguardo e il cuore da Colui che ha vinto la morte per amore.
(…)
Gesù chiama la discepola, il Vangelo secondo Giovanni riporta il nome in aramaico “Mariam” così come la risposta di lei “Rabbunì”. Segno di una confidenza profonda, di un incontro che passa nei luoghi più intimi e personali, per farlo risplendere di luce. Il Risorto ci restituisce il nostro nome trasfigurato, reso fertile dallo Spirito di Dio.
Gesù ci ama singolarmente, ci chiama per nome affinché anche noi, come Maria, possiamo voltarci verso di lui e non lasciarlo più.
(…)
A noi spetta di voltarci verso di lui, come Maria Maddalena, per ascoltarlo mentre ci chiama per nome, allora egli ci mostrerà il suo volto, e la nostra vita non sarà più la stessa.

sabato 23 aprile 2011

DAVANTI ALLA PIETRA DEL SEPOLCRO



tratto da “Donne della risurrezione” Lia Beltrami

Giuseppe prese il corpo, lo avvolse e lo depose nel suo sepolcro nuovo, che si era fatto scavare nella roccia; rotolata poi una grande pietra all’entrata del sepolcro, se ne andò. Lì, sedute di fronte alla tomba, c’erano Maria di Magdala e l’altra Maria (Matteo 27, 59-61)


Dopo il sabato, all’alba del primo giorno della settimana, Maria di Magdala e l’altra Maria andarono a visitare la tomba. (Matteo 28,1)

Poi (Giuseppe) fece rotolare una pietra all’entrata del sepolcro. Maria di Magdala e Maria madre di Ioses stavano a osservare dove veniva posto. (Marco 15,45-46)

Passato il sabato, Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo e Salomè comprarono oli aromatici per andare a ungerlo. Di buon mattino, il primo giorno della settimana, vennero al sepolcro al levare del sole (Marco 16,1-2)

Il primo giorno della settimana, al mattino presto esse si recarono al sepolcro, portando con sé gli aromi che avevano preparato. Erano Maria Maddalena, Giovanna e Maria madre di Giacomo (Luca 24,1-10)


Il cielo si è oscurato. Gesù ha reso lo spirito al Padre. Dal suo costato, trafitto da una lancia, sono sgorgati sangue e acqua. Giuseppe d’ Arimatea, uomo giusto, ottiene il permesso da Pilato di deporre il Cristo dalla croce. Lo avvolge in un lino bianco. Maria Maddalena assiste, è presente, non manca. Osserva gli uomini di Israele mentre portano il corpo morto del Maestro dentro un sepolcro scavato nella pietra, in un giardino lì vicino. (…) Pochi istanti, poi anche il corpo del Maestro non c’è più, un rumore sordo, e una grossa pietra lo separa dalle donne. È il vuoto. (…)

“Dopo il sabato, all’alba del primo giorno della settimana, Maria di Magdala e l’altra Maria andarono a visitare il sepolcro”.
Giovanni ci dice che è ancora buio, il buio della notte della morte. Proprio lì però sta sorgendo il primo giorno della settimana, qualcosa di nuovo, le tenebre lasciano il posto alla luce, nel dolore nasce qualcosa.
Finite le ore del culto, la vecchia Pasqua, Maria Maddalena è già pronta a correre verso la culla del corpo del Maestro. È il tempo della prova più grande. Lei, nonostante la paura, esce di casa, inizia un nuovo cammino e si reca al giardino. Si era messa in viaggio per seguire Gesù nella Galilea, dopo la liberazione, e con lui era salita sul calvario. Ora, sola, nella tentazione di cedere al vuoto, riparte e si reca alla tomba. Non vede, è ancora tenebra, ma l’amore la conduce a dare la sua risposta.
Maria Maddalena esce presto al mattino, forse ancora nella notte, quando i bagliori della prima luce si espandono nel cielo stellato. Ha trascorso il sabato con gli apostoli ammutoliti, pieni di paura, dominati dal sapore della sconfitta. Ma non si è fatta influenzare dal loro annientamento. È stata certamente insieme alla Madre, con lei si è fatta forza, ha preparato gli unguenti profumati e ora esce, sfidando il pericolo di chi vuole eliminare gli amici di Gesù.
(…)
Maddalena avrebbe potuto rifugiarsi nel bozzolo, come gli altri, per stordirsi e non affrontare il dolore del sabato. (…) un’altra scorciatoia è quella dello scarico: addossare responsabilità e pesi sugli altri, lamentarsi in continuazione, vedersi come unici nel mondo autorizzati a soffrire. Tutte vie che distolgono dal vero e pungente confronto con se stessi. Maddalena avrebbe potuto gridare contro i romani, contro gli ebrei, accusare gli apostoli di non aver difeso il Maestro.
Niente di tutto questo. Lei ci è guida nel percorrere la strada del dolore, a partire dai passi sul Golgota, per fermarsi sotto la croce, stare con la Madre in silenzio e guardare alla deposizione. Non si nasconde quando viene chiusa la grossa pietra, quale firma dell’apparente finitudine e del fallimento della Buona Novella, lei resta. E poi, ancora, passato il sabato, si confronta con il dolore più grande della sua vita, e corre verso il sepolcro. Perché tanta fretta? Perché uscire nella notte, nella paura e nei pericoli? La sua è una risposta d’amore.

giovedì 21 aprile 2011

AI PIEDI DELLA CROCE



tratto da “Donne della risurrezione” Lia Beltrami


Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Cleopa e Maria di Magdala (Giovanni 19,25).

Il Vangelo secondo Giovanni, testimone diretto di quel terribile venerdì di due millenni or sono, è ridotto all’essenziale, pochissime parole, quasi due pennellate, per raccontare il susseguirsi delle ore sul Golgota. Scrive di alcune donne, la madre, la sorella, Maria di Cleopa e Maria di Magdala, che sono salite lungo il sentiero del supplizio di Cristo, per accompagnarlo negli ultimi istanti verso la morte. Il testo lascia aperta l’interpretazione del numero delle donne: potrebbero essere quattro, o tre, oppure solo due: la madre e Maddalena.
Gesù, dopo essere stato condannato, viene caricato del braccio orizzontale di legno e si avvia verso il cranio. Lì viene inchiodato alla croce in mezzo a due malfattori. Sopra la sua testa pende l’iscrizione, in ebraico, latino e greco, con il motivo della condanna: “Gesù il Nazareno; il re dei Giudei”. I soldati si dividono la sue vesti; la tunica è tessuta tutta d’un pezzo perciò la tirano a sorte. Testimoni: il discepolo e le donne.

Stavano - Maria Maddalena, fedele sino all’estremo, segue ancora il Maestro, questa volta non per i sentieri della Galilea, non è con lui a mensa, non porta olio profumato. Ha assistito alla condanna, è stata trafitta anche lei dalle parole del popolo: “Crocifiggilo! Crocifiggilo!”, ha udito gli insulti, ha visto gli sputi. Non ha potuto fare nulla per difenderlo. Ma non lo ha lasciato solo. Non è fuggita, non si è nascosta. È rimasta con Maria, la Madre, e insieme con le altre donne che già erano con il Maestro in Galilea. (…)

Maria Maddalena vede Gesù che si avvia sulla salita, coperto di ferite. Cammina anche lei, lo segue, in una fedeltà oltre ogni logica umana. Forse si china per pulire il sangue caduto a terra. Arriva con lui sul Golgota, dopo aver percorso tutto il sentiero del dolore. E lì se ferma, sta. In quello “stare” c’è il grande mistero della risposta d’amore di Maria Maddalena a Cristo.

Presso la croce
– Gemiti di sofferenza, grida, insulti della gente, un rumore esterno insopportabile. L’orecchio è teso a percepire ogni suono che esce dalla bocca sanguinante del Maestro, del Figlio, mentre i soldati tirano a sorte la sua tunica. Discutono, bestemmiano, come se stessero vivendo in un’altra dimensione. E nel frastuono, in mezzo agli urli come di tempesta, si dilata lo stare della Madre, con Giovanni e Maddalena, fino a diventare un silenzio dello spirito.
Per i primi tre evangelisti, Matteo, Marco e Luca, le donne seguono la scena da lontano, ma Giovanni, l’apostolo dell’Amore, le descrive proprio sotto la croce. È interessante leggere gli studi storici sulla possibilità per i parenti e gli amici di stare vicino al luogo dell’esecuzione di un condannato. Si parla di una possibile distanza fra i tre i dieci metri. (…).
Quel “presso” non può lasciare indifferenti. Giovanni, la madre, Maddalena, le persone più prossime a Gesù, stanno vicino nel supplizio, come a formare un cerchio, dove lo spazio più grande è lasciato da quelle braccia allargate nel sangue, che proseguono l’abbraccio oltre ogni limite umano. I minuti, le ore, sono interminabili, anche i secondi pare non passino mai, mentre guardi l’atroce sofferenza di chi ami.
È, il loro, uno stare che ferma il tempo, uno stare “presso” che evidenzia l’intimità, la vicinanza corporea e spirituale. Maria Maddalena dona tutta la sua vita nel tempo presso la croce, quella vita che aveva ricevuto nuova da Dio nella liberazione dai sette demoni. È il prototipo del coraggio dell’amore estremo che si ripete nella storia di tante donne e uomini.
Non c’è divisione tra le donne, il discepolo, il Cristo, il Padre: come nell’ebbrezza di una danza, il loro sguardo è rivolto verso l’alto, su quel volto sfigurato, capace sino all’ultimo di pronunciare parole di vita. Anche il Maestro guarda in su, verso il Padre, l’Abba, con l’intensità di chi consegna a lui la sua vita: “È compiuto”. E dal cielo discende nel Cristo l’Amore più grande, in un’intima unione. Di lì a poco, il fianco sarà squarciato e scaturiranno sangue e acqua, sorgente di vita per l’umanità tutta, in perfetta unità. “Chi ci separerà dall’Amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? (…) Io sono infatti persuaso che né morte né vita, nè angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza, né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’Amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8,33-39)

Sua madre
– Maria Maddalena sul Golgota era salita a fianco della Madre di Gesù, con lei aveva sofferto per ogni spinta, per ogni sputo, per ogni percossa; non l’aveva mai lasciata sola. Ora è lì, sotto la croce, si fa appoggio per la Madre, e con lei incarna l’amore dato. Dall’altra parte c’è Giovanni, il discepolo, colui che riceve la totalità dell’amore. Poco più in là i soldati si spartiscono i vestiti: “I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti, ne fecero quattro parti – una per ciascun soldato – e la tunica. Ma quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: “Non stracciamola, ma tiriamola a sorte a chi tocca” (Gv 19,23-24)
Nel momento cruciale della storia dell’umanità, essi vivono nell’indifferenza, tutti presi dal possibile guadagno. Maddalena guarda nella loro direzione e soffre, percepisce che Gesù è inchiodato a quella croce come vittima sacrificale, anche per i soldati irriverenti. Si ricorda del capro inviato ogni anno a morire nel deserto per i peccati del popolo di Israele e guarda verso il Maestro. Ha imparato a non giudicare, lei liberata, lei che ha assistito alla guarigione di malati e paralitici, alla remissione dei peccati, lei che per prima ha respirato l’infinita misericordia del Padre. (…)
Intanto Gesù, nel dolore più atroce, fissa la madre e il discepolo e li consegna l’un l’altro: “Gesù allora vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco tuo figlio!” poi disse al discepolo: “Ecco tua madre!” (Gv 19,26-27). Maddalena è ancora una volta testimone di un evento immenso, assiste all’ultimo sguardo di Gesù per sua madre, mentre le affida ogni uomo, insieme con Giovanni. Poi dona a tutti noi la Madre del creatore, rendendoci concretamente suoi fratelli. Da quel preciso istante Maria, la Madre, non mancherà mai di seguire ogni evento dell’umanità.

mercoledì 20 aprile 2011

Amicizia con i pensieri puri (Satsang)


La mente o manas è una forma minore di coscienza. Si tratta di una piattaforma su cui ogni tipo di forma di pensiero nasce e scompare. Ogni pensiero che entra in essa rimane lì e fa il suo lavoro. La mente superiore è chitta o buddhi, l'intelligenza spirituale discriminante, chiamata anche jnana, in contrasto con la logica e la conoscenza materialistica della mente nota come vijnana. Chitta è la mente metafisica e Manas la mente fisica. Chitta ha la capacità di Hamsa (Cigno), il veicolo di Brahma, di separare il puro dall’impuro e il buono dal cattivo. Questa capacità discriminante deriva dalla conoscenza (jnana) acquisita attraverso l'esperienza o lo studio delle scritture o ascoltando le parole dei maestri illuminati. Si deve usare questa capacità discriminante, o buddhi, di rimanere concentrato sui pensieri puri, pensieri che sono spiritualmente utili, purificanti, stimolanti ed elevanti, pensieri che possono neutralizzare i pensieri negativi e nocivi e pensieri che possono aiutare la mente a stabilizzarsi e affermarsi nel Divino. Nel mondo moderno abbiamo diverse opportunità di restare concentrati sui pensieri puri. Possiamo usare il nostro potere di discriminazione facendo buon usa della televisione, di internet e delle notizie dei media. Possiamo selezionare libri ispiranti come la Bhagavad Gita , le Upanishad , il Dhammapada , la Bibbia o il Corano e anche le opere di maestri illuminati e guru. Coltivare l'amicizia con pensieri puri ed elevati è satsang a livello mentale.

martedì 19 aprile 2011

Amicizia con il Sè (Satsang)


Il Sé è l’aspetto interiore più nascosto della nostra personalità. È lo stato di "Io sono" che rimane sullo sfondo e osserva in silenzio tutto ciò che accade. Si può sentire la sua presenza durante la meditazione e diventando un osservatore distaccato del proprio Sé. Di solito succede per grazia di un guru o di Dio stesso. Alcune volte può iniziare come un processo mentale che diventa gradualmente una realtà in corso. Coloro che non hanno la fortuna di avere questa esperienza devono praticare il distacco, coltivare le virtù del distacco e della devozione e rimanere concentrati su questo io interiore finché non lo sperimenta nel più profondo stato di meditazione. Soffermarsi su pensieri del Sé interiore è la migliore forma di satsang. L'amicizia con il Sè è l'amicizia con Dio. Consacrare tutto al Sé, attribuendo tutte le vostre azioni al Sé e cercando il suo coinvolgimento in tutto ciò che si fa è la più alta forma di satsang che un individuo che è da solo possa praticare. Così facendo si arriverà al vero satsang o unità con il Sé. Mentre l’amicizia con Esseri Puri è un satsang a livello fisico, questo è un satsang a livello spirituale.

lunedì 18 aprile 2011

La Saggezza dell'Amore - Sri Swami Vishwananda



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domenica 17 aprile 2011

L'amicizia con Esseri Puri (Satsang)



Unendosi a un satsang si può migliorare la propria qualità sattva e domare rajas e tamas. Più la mente si immerge in pensieri centrati sul Divino attraverso l'associazione con persone simili, più la qualità sattva aumenta. Le persone che partecipano regolarmente ai satsang diventano più riflessive e intuitive. Le loro menti si calmano e i loro sensi diventano più tranquilli. Il loro ego cede il posto all’energia di purificazione e di pulizia e al risveglio delle energie dormienti. Anche se questo lavoro di purificazione può richiedere un lungo tempo, anche partecipare a un solo satsang aiuta le persone a stabilizzare le loro menti su pensieri divini e a sviluppare la qualità sattva che è così importante per la trasformazione del Sé.
Nel mondo moderno la gente può praticare il satsang in molti modi, non solo attraverso i metodi tradizionali degli incontri. Può essere praticata anche quando si è fisicamente soli, rimanendo concentrati sui pensieri a Dio e sulla via della liberazione. Sul sentiero della liberazione le distrazioni sono tante e così sono le sfide. Ma si può avere la meglio su di esse rafforzando la propria qualità sattva. Alcuni dei mezzi per praticare satsang nella nostra epoca sono suggerite qui di seguito.

L'amicizia con Esseri Puri


L'idea di persone che si uniscono insieme per partecipare alle attività religiose ha preso forma nei monasteri buddisti. I monaci buddisti vivono in gruppi e meditano sugli insegnamenti del Buddha. La vita monastica facilita la purificazione delle loro menti e dei loro corpi. Con il loro canto continuo e con la meditazione inviano nell’universo potenti vibrazioni pensiero e contribuiscono così al benessere della comunità delle vicinanze. Nel Sikhismo il satsang è diventato una norma stabilita e un modo per dichiarare la propria fede nel Guru e nei suoi insegnamenti. Nell’induismo la vita negli ashram ha fornito l'opportunità alle persone di vivere insieme e partecipare alle attività orientate al Divino. I Purana nacquero da tali congregazioni e divennero il punto focale dei satsang. Nell’ India medievale la popolarità della Bhakti ha contribuito alla popolarità dei satsang dove la gente poteva esprimere la propria devozione verso il Divino attraverso riti di dedizione e di servizio disinteressato.
Per le persone impegnate con i doveri mondani, i rituali e il servizio forniscono l'occasione migliore per concentrare la mente su obiettivi spirituali e mantenere in vita le proprie aspirazioni interiori. Ugualmente, i templi, le chiese e i centri di pellegrinaggio hanno lo stesso scopo. Esse riuniscono persone di diverse origini e le sostengono nella propria determinazione a perseguire una vita di purezza e di virtù interiori. L'amicizia con persone materialiste, rafforza le nostre ambizioni materialistiche. L'amicizia con persone spirituali rafforzare le nostre aspirazioni spirituali. Per questo è molto importante come scegliamo i nostri amici. Tuttavia, ci sono diversi gradi anche tra le persone spirituali. Alcune sono altamente spirituali. Alcune sono esteriormente spirituali, ma interiormente rajasiche, e li possiamo veder agire in modo egoistico e prepotente, alla ricerca di un sé egoico. È quindi importante sapere quale compagnia frequentiamo e di quale compagnia abbiamo bisogno.

sabato 16 aprile 2011

Le qualità rajas e tamas (Satsang)


La qualità rajas spinge le persone in attività agitate. Le persone rajasiche sono guidate da un intenso desiderio di mostrare se stesse agli altri. Sono centrate su se stesse, a differenza delle persone sattviche che sono centrate sul Divino. Spinte da passioni, emozioni, dall'egoismo e dall'orgoglio, si considerano come coloro che agiscono e attribuiscono successi e fallimenti a se stessi o ai loro talenti o alle loro capacità innate. La loro fede in Dio è influenzata dai loro obiettivi personali e dai loro bisogni interiori. Se vengono deluse o subiscono degli impedimenti, non esitano a condannare Dio o a mettere in dubbio la Sua stessa esistenza. I leader mondiali che predicano ma raramente mettono in pratica e i religiosi bigotti che infliggono sofferenze di massa all’umanità auto proclamandosi soldati di Dio, appartengono a questa categoria. Si deve stare lontani dalla folla, se si vuole avere la pace della mente e la stabilità interiore.

La qualità tamas è responsabile del comportamento letargico e insensibile delle persone. Le persone tamasiche sono solitamente disinteressate a Dio e raramente svolgono una vita attiva e disciplinata. Poichè sono insensibili agli altri e ai loro stessi sentimenti, spesso indulgono in comportamenti crudeli e criminali che causano dolore e sofferenza. Sono spesso attratti da sostanze inebrianti e da cibi che causano letargia. Anche se credono in Dio, di solito ricorrono a culti segreti e a metodi inusuali di auto-tortura e di auto-distruzione per raggiungere l'auto-realizzazione. Le persone tamasiche sono solitamente negative e pessimiste. Essi prosciugano l’energia delle persone sollevando obiezioni o scoraggiandole dall’ intraprendere qualsiasi azione. Hanno sempre una scusa per non fare le cose o fare le cose in modo negativo. Incline alle abitudini di dipendenza, soffrono anche per sbalzi di umore estremi e attacchi di depressione. Si dovrebbe stare il più lontano possibile da questo tipo di persone.

lunedì 11 aprile 2011

La Saggezza dell'Amore - Mahavatar Babaji



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domenica 10 aprile 2011

Ram Navami e l'importanza di rafforzare la connessione con la propria Ishta Dev (versione audio)




http://vishwananda.podomatic.com/entry/2011-04-10T10_33_42-07_00

Il Dharma dell’esilio



Quando re Dasaratha annuncia alla città di Ayodhya la sua volontà di trasmettere la corona a Rama, suo figlio maggiore, la notizia viene accolta da tutti con favore, eccetto la regina Kaikeyi, la quale inizialmente contenta della scelta del re, viene successivamente traviata dalla malvagia serva Manthara, che inculca nella mente della regina il timore per la sicurezza e il futuro del figlio Bharata. Temendo che Rama ignori o, peggio, perseguiti il fratello più giovane per il gusto del potere, Kaikeyi convince Dasaratha a bandire Rama dal regno, inviandolo in esilio nella foresta per quattordici anni, e a incoronare Bharata al suo posto. La scelta di due favori era stata concessa alla regina dal re stesso quando molti anni prima lei gli aveva salvato la vita in battaglia. Dasaratha amava Rama teneramente e aborriva la prospettiva della separazione dal suo amato figlio.


Ma Rama, rendendosi conto che un re non deve mai rompere una promessa solenne, né un figlio dove disobbedire al comando del padre, sceglie egli stesso di partire per l’esilio. Sita, l’amata consorte, si unisce a lui, nonostante Rama tenti di persuaderla diversamente, perché ella sente come suo dovere di moglie, e soprattutto per amore di Rama, che il suo posto è a fianco del marito, in ogni momento. Anche suo fratello minore Lakshmana decide immediatamente di unirsi a Rama piuttosto che rimanere ad Ayodhya.

La partenza di Rama per l'esilio, causa la morte del re Dasaratha, incapace di sopportare l'agonia della separazione. Nonostante ciò Rama si rifiuta di tornare. Anche se apprende con sgomento la notizia della morte del padre, Rama si trovi nell'impossibilità di ritornare, rompendo così la promessa fatta al padre quando era in vita. Nonostante tutto, Rama non prova nessun risentimento nei confronti di Kaikeyi, credendo fermamente nel potere del destino. È infatti grazie all’esilio e alle conseguenze che ne scaturiscono che Rama avrà l’opportunità di affrontare Ravana e il suo impero del male.

Rama e Sita sono i protagonisti in una delle storie d'amore più famosa di tutti i tempi. Sita e Rama sono in realtà incarnazioni di Lakshmi e Vishnu. Quando Rama viene bandito dal regno, egli tenta di convincere Sita a non unirsi a lui nel condividere
una vita nella giungla potenzialmente pericolosa e certamente ardua, ma Sita respinge la proposta. Quando Rama le ordina, in qualità di marito, di desistere dalla decisione di seguirlo, Sita si rifiuta, affermando che dovere essenziale di una moglie è quella di essere al fianco del marito nel bene e nel male.

sabato 9 aprile 2011

Rama, simbolo della perfetta aderenza al dharma.


Rama è la settimo avatar - incarnazione di Vishnu, re di Ayodhya
Secondo la genealogia Puranica, Rama sarebbe nato nel 7.323 a.C. e cioè nel corso dell'ultimo trimestre del Treta Yuga.
Nato come il figlio maggiore di Kausalya e Dasharatha, re di Ayodhya, Rama viene definito all’interno dell'induismo come Maryada Purushottama, letteralmente “L'uomo perfetto” o “Signore dell’autocontrollo” o “Signore della Virtù”. Rama è il marito di Sita, che gli Indù considerano incarnazione di Lakshmi e incarnazione della femminilità perfetta.
La vita di Rama è simbolo della perfetta aderenza al dharma, nonostante le dure prove della vita. Rama è raffigurato come l'uomo ideale e l'essere umano perfetto. Per onorare il padre, Rama abbandona la sua pretesa al trono di Kosala scegliendo invece un esilio di quattordici anni nella foresta. Sua moglie Sita e il fratello Lakshmana, incapaci di vivere senza Rama, decidono di unirsi a lui, e tutti e tre passano i quattordici anni in esilio insieme.



Durante l’ esilio, Sita viene rapita da Ravana (Asura), il monarca Rakshasa di Lanka. Dopo una ricerca lunga e difficile che mette alla prova la sua forza e la virtù personale, Rama ingaggia una guerra colossale contro gli eserciti di Ravana. Alla fine Rama uccide Ravana in battaglia e libera la moglie. Dopo aver completato il suo esilio, Rama torna ad essere incoronato re di Ayodhya (la capitale del suo regno), e alla fine diventa imperatore, donando felicità, pace, prosperità e giustizia al suo popolo, in un periodo conosciuto come Rama Rajya.

Il Ramayana racconta come la Dea Terra (Bhumidevi), si recò dal Signore Creatore, Brama, chiedendo di essere salvato dal malvagio re che stava saccheggiando le sue risorse e distruggendo la vita attraverso innumerevole guerre sanguinose. Anche i Deva si recarono da Brama, terrorizzati dal giogo di Ravana, l'imperatore rakshasa con dieci teste. Ravana aveva sopraffatto i Deva e ora governava il cielo, la terra e i mondi inferiori. Anche se era un monarca potente e nobile, era pure arrogante, distruttore e un protettore dei malfattori. Aveva poteri che gli davano una forza enorme ed era invulnerabile a tutti gli esseri viventi celesti, tranne però all'uomo e gli animali.

Brahma, Bhumidevi e i Deva pregarono Vishnu, il Conservatore, per la liberazione dalla tirannia di Ravana. Vishnu promise di uccidere Ravana incarnandosi come uomo - il figlio maggiore di Darashata, re di Kosala. La sua eterna consorte, Lakshmi prese vita come Sita che fu trovata dal re Janaka di Mithila mentre egli stava arando un campo. L’eterno compagno di Vishnu, il serpente Sesha Annata, si incarnò come Lakshmana per rimanere a fianco del suo Signore sulla terra.
Durante la sua incarnazione, nessuno, tranne Rama stesso e pochi altri saggi (tra cui Vasishta, Sharabhanga, Agastya e Vishwamitra) conoscevano il suo destino. Rama fu venerato dai molti saggi che incrociarono il suo cammino, ma solo i più colti ed elevati erano a conoscenza della sua vera identità.

Celebrare la nostra Ishtadev


Al termine del darshan di ieri, 8 aprile, qui a Shree Peetha Nilaya, Guruji ha ricordato che martedì si celebra Ram Navami, dedicato al Signore Ram. Guruji ha detto che in questa giornata è di buono auspicio celebrare anche la nostra Ishtadev. La nostra Ishtadev ha un ruolo molto importante nel nostro cammino spirituale ed è fondamentale per ognuno di noi creare una relazione profonda con essa. Guruji ha inoltre specificato che non esiste differenza tra Isthadeva (aspetto maschile) e Ishtadevi (aspetto femminile).



Nella realtà Divina non esiste separazione, come invece è nella mente dell’uomo. Non esiste l’aspetto maschile senza l’aspetto femminile e viceversa; se si ha come Ishtadev Shiva, automaticamente anche Shakti è presente; chi celebra Lakshmi, celebra anche Vishnu, non si può celebrare Durga senza celebrare Shiva e così via.
Guruji ha suggerito di digiunare nella giornata di martedì, sino alle una del pomeriggio, momento in cui la tradizione vuole che sia nato il Signore Ram, e di cantare, durante la giornata, il nome della propria Ishtadev. Se non si conosce la propria Ishtadev, si può cantare il nome di Ram: Sri Ram Jay Ram…




BUON RAM NAVAMI A TUTTI VOI

venerdì 8 aprile 2011

Connettersi con la nostra purezza interiore.

Partecipare a incontri spirituali, visitare luoghi di culto come chiese, templi, moschee, visitare luoghi di pellegrinaggio, leggere testi spirituali scritti da Santi, stare in compagnia di ricercatori spirituali, visitare Santi o il proprio Guru, sono esempi di satsang di qualità progressivamente superiore. In realtà, c'è un flusso continuo di Coscienza Divina tutto intorno a noi. Ogni giorno veniamo a contatto con questi elementi, ma, se siamo in grado di assorbire la loro divinità dipende da quanto sottilmente puri (sattvico) siamo.


Infatti a un livello molto più profondo satsang significa essere con o restare connessi con la qualità interna del sattva o purezza. Sattva è una delle tre qualità di Prakriti (la natura), gli altri due sono rajas e tamas. La qualità sattva si manifesta negli esseri umani come conoscenza, tranquillità, contemplatività e spensieratezza. Le persone in cui questa qualità è predominante sono in possesso di una saggezza e di una conoscenza superiore e di solito sono immersi in una modalità di vita devozionale e spirituale. I loro pensieri ruotano intorno a Dio e cercano di liberarsi dai legami dell'ignoranza e dal ciclo di nascita e morte arrendendosi a Dio e conducendo una vita centrata sul Divino. Una persona sattvico è un satsangi naturale. Che sia in compagnia di altri o da solo, è sempre “in satsang” o in comunione con il bene e il puro. Lo scopo di un satsang è quello di sviluppare la qualità sattva attraverso l’amicizia spirituale o la compagnia con le persone sattviche.

giovedì 7 aprile 2011

Chiarire i propri dubbi (Satsang)


Molti si chiederanno perché vi è la necessità dei Satsang (incontro spirituale) visti i numerosi testi spirituali, le migliaia di testi sacri riguardanti la spiritualità ormai disponibili ovunque. Il motivo è che non importa quanto si è forniti di informazioni teoriche riguardo alla spiritualità; si può non essere in grado di praticare correttamente la Spiritualità se prima non si chiariscono i propri dubbi.
Spesso non è facile chiarire i propri dubbi ascoltando discorsi spirituali, conferenze, o semplicemente attraverso la lettura dei testi sacri. La natura del satsang non è di fare un discorso generale; qui le persone sono incoraggiate a porre domande di interesse specifico e quasi la metà del tempo viene speso nel chiarimento di questi dubbi.
La conoscenza spirituale teorica è impartita attraverso i vari testi sacri. Tuttavia la spiritualità è una scienza pratica. Più velocemente si mette in pratica questa conoscenza teorica e più velocemente si avanzerà verso il divino.

Una volta, un "saggio" che molto si vantava del proprio sapere, si trovò ad attraversare in barca un ampio e bel fiume. Mentre volgeva lo sguardo verso l'attraente panorama, attaccò animatamente discorso con l'allegro e simpatico barcaiolo, che remava al suo fianco con vigore e destrezza. - Allora, giovanotto, sa fare qualche cosa? -
- Io? So remare, nuotare e pregare.
- Ma non sa di filosofia? -
- Neanche ne ho mai sentito parlare.
- Ah! Amico mio! Allora lei ha perso un quarto della sua vita.
Non contento, il "saggio" continuò con una nuova domanda: - E ha studiato la fisica? -
- Neanche questa, no - rispose ridendo l'umile rematore.
- Allora ha perso due quarti della sua vita.
Insistendo nuovamente, il "saggio" gli fece una terza domanda: - Ha imparato la matematica? -
- No.
- E l'astronomia? E la grammatica?...
Per tutte queste domande il povero barcaiolo aveva la stessa risposta: - No!
- Allora, mio caro, lei ha già perso tre quarti della sua vita.

Navigavano così, distratti dalla conversazione, senza accorgersi che la barca avanzava con rapidità in direzione di uno scoglio. Ci fu un impatto violento, la barca si spaccò e cominciò ad affondare. La riva del fiume era ancora molto lontana... Il barcaiolo, sapendo nuotare, si buttò in acqua senza alcuna esitazione, lottò contro la forte corrente e riuscì a mettersi in salvo sull'altra riva del fiume.
Lo stesso, però, non accadde al “saggio”. Terrorizzato, egli guardava ora l'acqua, ora la riva, senza sapere che cosa fare per uscire da quella pericolosa situazione.
Allora il barcaiolo, esausto, ma ormai ben sicuro sulla terraferma, gli gridò: - Signor filosofo, sa nuotare? -
Lo studioso rispose: - Ho letto diversi libri sul nuoto e ho raccolto molte informazioni, ma non so nuotare.-
Così, visto che sapeva nuotare, sopravvisse solo il barcaiolo.

La conoscenza teorica dello studioso non gli fu di nessuna utilità. Allo stesso modo, per essere in grado di attraversare felicemente questo vasto oceano della vita, è più utile praticare la spiritualità e non solo acquisire conoscenze verbali. La scienza, la cultura, la filosofia sono valori umani preziosi e necessari, a patto che si fondino sull'esperienza.

Swami Vishwananda a Den Haag


L`altro ieri Swami Vishwananda dava un satsang a Dern Haag in un Krishna tempio .


Prima era invitato per un intervista dal vivo nella radio indiana. Dopo tante domande sulla sua infanzia, i miracoli accaduti etc. il moderatore gli chiedeva di materializzare qualcosa per lui. A me sembrava che lo diceva molto sarcastico e con dubbi. Swamiji gli spiegava che non lo fa sicuramente per mostrargli qualcosa, ma che c`è sempre un proposito nel dare certi oggetti e che gli promette di darli qualcosa più tardi. Quando l`ìntervista era finita, Guruji gli materializzava un annello con lakshmi. Ad un tratto il moderatore, che prima parlava senza pause, diventava silenzioso, quardava a Guruji e al suo nuovo annello con la bocca aperta, e guando Guruji gli spiegava il proposito di esso, la bocca egli occhi del tipo si aprivano ancora di più. Dopo qualche minuto, quando si riprese, ritornava al suo microfono e raccontava con enthusiasmo la sua esperienza...

martedì 5 aprile 2011

SATSANG: Amicizia con la Coscienza Divina




Le persone degenerano quando fanno affidamento su coloro che sono inferiori a loro. Facendo affidamento su coloro che sono uguali, rimangono le stesse. Facendo affidamento su coloro che sono superiori, raggiungono la perfezione. Fai quindi affidamento solo su coloro che sono superiori a te stesso. Tsong-Kha-pa

La compagnia dei i saggi è fondamentale per lo sviluppo spirituale, perché l'esempio e i suggerimenti di un consigliere di mente nobile è spesso il fattore decisivo che risveglia e alimenta il dischiudersi del nostro potenziale spirituale inutilizzato. - Bhikkhu Bodhi

Il concetto di satsang come attività spirituale o devozionale è ben noto ai seguaci di Induismo , Buddismo, Giainismo e Sikhismo. In generale, satsang è una congregazione di religiosi o persone spirituali che si riuniscono per ascoltare un Maestro o un discorso religioso o partecipare a qualche attività religiosa o spirituale, come il canto devozionale, la danza o la meditazione.
Il Satsang fornisce alle persone l'opportunità di tenersi impegnate in pensieri e azioni centrati sul divino e rimanere focalizzati sul proprio percorso spirituale. Se correttamente condotto, il satsang può generare vibrazioni di pensiero potenti, purificanti e ispiranti ed è in grado di generare le stesse vibrazioni nelle persone che partecipano, oltre a santificare il luogo dove i satsang vengono organizzati.

AMICIZIA CON LA COSCIENZA DIVINA

Letteralmente parlando, “sat” (सत्) significa “Coscienza Divina” o “Verità” e “sang” (संग) significa “essere con” o “essere associato con”. Satsang significa quindi amicizia o associazione con la Coscienza Divina o con la Verità stessa. Può essere praticato sia dal rimanere in compagnia di un essere sincero e puro, come un guru o un monaco, o in compagnia di persone devote a Dio. L'amicizia con una persona spirituale è anche una forma di satsang. Pensare a Dio o avere pensieri divini, leggere libri di ispirazione spirituale, visitare un tempio o un luogo di pellegrinaggio, sono altre forme di satsang. Alcune persone hanno la fortuna di nascere in una famiglia di esseri altamente spirituali. Altre dovranno cercare o persone spirituali con cui relazionarsi o qualche altro mezzo per la pratica del satsang.

La nostra natura di esseri umani ci porta ad attivare un qualsiasi tipo di associazione, 24 ore al giorno. Ma possiamo scegliere se essere in associazione con il Divino (Sat) o con il mondo materiale (Asat). Cos’è Sat e cos’è Asat? Questa discriminazione è importante. Le scritture hindu ci dicono che questo mondo è maya (asat) e Dio è Divino (Sat). Inoltre esse affermano che maya non ci appartiene, ma il Divino sì, ci appartiene, è nostro.

Tutti gli sforzi nella pratica spirituale sono volti al raggiungimento della Coscienza Divina, perché il successo nella vita - sia materialistica che spirituale - dipende dalla percentuale di consapevolezza, presente in ognuno di noi, del nostro essere Coscienza Divina. Sino a quando non avremmo raggiunto lo stadio in cui avremmo definitivamente sviluppato la piena Coscienza Divina in noi, è necessario ricorrere a una fonte esterna.

La Saggezza dell'Amore - Sri Swami Vishwananda




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lunedì 4 aprile 2011

Swami Vishwandanda in Brugge

Era una giornata lungha, faticosa ma molto bella:
alzarci alle 6 del mattino- tre ore in macchina fino a Brugge, preparazione del audio, soundcheck, l'arrivo delle persone, l'arricvo di Swamiji e Darshan.
Swami entrava gia' durante il Gurustotram e si siedeva sulla sua poltrona.

Poi dopo qualche Bhajan e un discorso breve iniziava il Darshan con ca. 200 persone.
In seguito visitava ancora la casa di un devoto vicino Brugge, e faceva un piccolo yagna.




Swami Vishwananda in Amsterdam

Sabato il 2 di aprile Guruji faceva un Darshan nella chiesa theosophica di Amsterdam. Era il primo nel tour del holland.
La chiesa era occupata fino all'ultimo posto e l'atmosphera era bellissima.
Tanto per cambiare Guruji parlava dell'amore :).Tra varie cose diceva che il chakra del cuore non puo essere chiuso, e che dipende solo da noi di aggire da esso e di essere positivi o negativi.

sabato 2 aprile 2011

Sri Sri Radha Krishna Chaitanya

Ecco il bellissimo video dell'inaugurazione del nuovo tempio Sri Sri Radha Krishna Chaitanya in Polonia.